Una guida per capire ed elaborare i ricordi traumatici ed estratti di “SOMATIC EXPERIENCING. Esperienza somatiche nella risoluzione del trauma”
di Peter A. Levine
Sinossi ragionata a cura di Marta De Negri
PETER A. LEVINE
Peter Levine, laureato in medicina e psicologia, si occupa da più di trent’anni di psicofisiologia del trauma e delle conseguenze dello stress sull’organismo.
Ha pubblicato numerosi studi di ricerca e di divulgazione scientifica per il trattamento e la prevenzione degli effetti post-traumatici.
Grazie alle sue ricerche, ha creato il metodo Somatic Experiencing (S.E.) ed istituito la “Foundation for Human Enrichment” (fondazione per l’arricchimento umano), un ente che offre supporto e formazione agli operatori che lavorano con pazienti traumatizzati.
È consulente del Meadows, un centro residenziale di ricovero per tossicodipendenti.
Le sue ricerche si fondano sullo studio della fisiologia, delle neuroscienze, dell’etologia e della psicologia, integrate con gli esiti di una massiccia osservazione del comportamento animale.
LE OPERE
In questa sinossi ragionata, mi occuperò principalmente di riportare i contenuti del testo “Trauma e Memoria” (2015). Personalmente ritengo importante, però, introdurre alcuni approfondimenti tratti dal precedente “Somatic Experiencing” (2010), essendo la base teorico/pratica cui l’autore stesso, frequentemente, fa riferimento.
Considerato l’opus magnum di Levine, quest’ultimo contiene, infatti, la gran parte delle sue ricerche e la trattazione specifica del suo metodo.
Riporto, di seguito, le parole in copertina: “Il trauma non risiede nell’evento esterno che induce dolore fisico o emotivo, e neppure nel dolore stesso. Il trauma si genera quando non siamo in grado di liberare le energie bloccate e di attraversare, una dopo l’altra, tutte le reazioni fisico-emotive all’esperienza che ci ha ferito. Il trauma non è quello che ci accade, ma quello che tratteniamo dentro, in assenza di un testimone empatico.1”
In occasione di un evento traumatico si produce, all’interno dell’organismo, un eccesso di energia fisica cui è inibito uno sviluppo in senso biologico (mancata azione), a causa dello stato di profonda impotenza sperimentato da chi lo subisce.
Questo eccesso energetico, non “scaricato” mediante un’azione, non viene dissipato attraverso il corpo (primo veicolo e naturale sede dei movimenti di fuga/attacco a fronte della minaccia), vi rimane intrappolato e lo perturba (stress post-traumatico).
Ne derivano tracce incise nel cervello, nel corpo e nella psiche che non mutano e non si aggiornano con il passare del tempo.
Il Somatic Experiencing promuove il ricorso al movimento del corpo, alla respirazione e all’interazione fisica con il terapeuta perché la persona possa, gradualmente (“gentilmente”, ci tiene a specificare l’autore) entrare in contatto con queste tracce traumatiche e sollecitarne l’espressione fisica ed emotiva, rendendo i ricordi traumatici accessibili alla trasformazione e al cambiamento.
Nella sua successiva “Trauma e Memoria”, l’autore focalizza la sua attenzione sull’interazione tra memoria procedurale (nella quale giacciono le tracce mnestiche del trauma), corpo e psiche. È a questo livello di memoria, infatti, che è necessario accedere per rinegoziare il trauma.
“TRAUMA E MEMORIA”
La memoria esiste in molte forme. Quella cosciente, esplicita, “non è che la punta di un iceberg profondo”2.
Premessa fondamentale sulla quale si fonda il modello di intervento terapeutico di Levine è l’abbandono del concetto di memoria come database rigido, definito, concreto e riproducibile. Al contrario, si manifesta come un processo ricostruttivo, in continuo aggiornamento e al servizio della funzione di adattamento per vivere e sopravvivere.
I ricordi svolgono un compito vitale: rappresentano un contesto in cui collocare le esperienze emergenti in modo che ci si possa navigare con relativa sicurezza. Sono punti nodali su cui l’individuo crea una narrazione coerente del sé e del suo percorso di vita.
Diversamente dai ricordi “normali” (piacevoli o meno che siano), naturalmente mutevoli nel tempo, quelli traumatici risultano statici, fissati una volta per tutte.
“Queste impronte dure e congelate non cedono al cambiamento né si aggiornano con l’informazione presente. E la loro fissità ci impedisce di formare nuove strategie e di ricavare nuovi significati dall’esperienza” (cit.).
Risultano frammenti disorganizzati e, in quanto tali, inenarrabili (non possono essere oggetto di narrazione ordinata, né gli può essere attribuito un significato emotivo). Rimangono inconsapevoli tracce sotto forma di sintomi fisici o comportamenti compulsivi.
A differenza delle principali correnti di intervento nel trattamento del trauma – fondate principalmente sulle pratiche di abreazione e catarsi, Levine si propone di lavorare con i ricordi dolorosi e non contro di essi, sfruttando la loro energia compressa.
L’essere umano accede a due tipi di memoria, quella esplicita e quella implicita, rispettivamente conscia e relativamente inconscia. I due sistemi di memoria svolgono funzioni diverse e rispondono a distinte strutture anatomico-cerebrali.
Fanno capo alla memoria esplicita i ricordi dichiarativi e quelli episodici.
I primi ci permettono un accesso pienamente conscio, ordinato e ricco di dettagli ben definiti agli eventi del passato che possiamo, dunque, intenzionalmente richiamare ed enunciare in modo chiaro. Rappresentano una sorta di “lista della spesa” della nostra memoria. Sono ricordi poco o per nulla carichi di vitalità ed emotività. I circuiti complessi della corteccia cerebrale ne costituiscono il sistema operativo.
I ricordi episodici veicolano tracce di esperienze di vita più coinvolgenti, più calde. Più che essere richiamati intenzionalmente, riaffiorano spontaneamente sotto forma di scene rappresentative del passato, posso essere raccontate a noi e agli altri come se dessero un senso alla nostra vita.
La memoria implicita non può essere rievocata intenzionalmente (come lo sono i ricordi dichiarativi), è inaccessibile sotto forma di rimembranze dal gusto onirico (come i ricordi episodici). Si rintraccia, invece, in una serie di sensazioni, emozioni e comportamenti automatici, ascrivibili a veri e propri schemi di azione. È il corpo che ricorda, in assenza di consapevolezza.
I ricordi emotivi sono avvertiti nel corpo come sensazioni fisiche (ad ogni emozione corrisponde uno schema somatico) che hanno lo scopo di codificare e contrassegnare le esperienze perché, nel futuro, siano facilmente reperibili, al pari di segnalibri.
Sono attivati nel presente da situazioni che facciano emergere emozioni simili a schemi già esistenti.
Alle emozioni primarie (sorpresa, paura, rabbia, disgusto, tristezza e gioia), l’autore propone di aggiungere, in qualità di ulteriori emozioni innate (o felt sense) anche: curiosità, eccitazione, allegria e trionfo.
I ricordi procedurali sono puri impulsi, movimenti, sensazioni corporee molto profonde e comprendono: le memorie apprese (ad esempio ballare, sciare, andare in bicicletta…), le risposte d’emergenza che rispondono all’istinto di sopravvivenza a fronte di una minaccia (ad esempio irrigidimento, ritiro, contrazione muscolare, lotta, fuga, immobilizzazione, difesa del territorio…) e le tendenze di avvicinamento/evitamento e attrazione/repulsione (irrigidimento, ritiro, contrazione, espansione, allungamento, sporgersi…).
Si tratta di schemi di azione che possono essere continuamente modificati ad opera delle regioni cerebrali superiori.
La transizione dalla memoria implicita procedurale a quella emotiva e, dunque a quella episodica ed infine alla dichiarativa è osservabile nel transito individuale dalle sensazioni meramente corporee, manifestate in posture coerenti e tradotte in impulsi motori, all’emergere di emozioni che richiamano alla coscienza ricordi cui abbandonarsi e su cui riflettere, fino alla esplicitazione in una narrazione chiara ed ordinata.
La fluida relazione tra sensazione, emozione, immagine e azione è alla base della capacità di rinnovare la narrazione di sé, aggiornando le memorie profonde con i nuovi dati immagazzinati e, ad avviso dell’autore, alla base del processo di integrazione delle esperienze traumatiche.
“Tema centrale di questo libro è che proprio la memoria procedurale, situata molto al di sotto della normale coscienza di veglia, sia l’elemento chiave per il lavoro clinico sui ricordi traumatici.” (cit.)
Infatti sono ricordi procedurali disaddattivi e i conseguenti ricordi emotivi a costituire il meccanismo centrale dei traumi e dei problemi sociali e relazionali così come, al contrario, la vasta gamma di emozioni “eudemoniche” (piacevoli) assolve alla funzione dinamica di istituire e alimentare il rapporto con se stessi e con gli altri.
Dunque, ricordiamo: le emozioni (il loro emergere, il loro corroborarsi, il contestuale invio di segnali che coinvolgono tutto il corpo, le azioni che compiamo a seguito di tali segnali e il successivo stato di riduzione e scomparsa delle stesse) svolgono delle funzioni vitali.
A livelli moderati di intensità, ad esempio, segnalano la possibilità di un pericolo. In termini relazionali, siamo in grado di comunicare la nostra allerta agli altri mediante la postura, la mimica e il linguaggio del corpo (ad esempio ci irrigidiamo in vista dell’azione).
Un livello più intenso di paura o rabbia ci spinge ad agire immediatamente con tutte le forze, accedendo inconsciamente a schemi di azione di attacco o fuga. Laddove queste azioni non possano essere conseguite fino in fondo (sortendo gli effetti per le quali abbiamo messo in campo un alto livello di energie), collassiamo paralizzati in uno stato di impotente immobilità (che ci permette, tra l’altro di conservare le energie per quando il pericolo sarà passato).
Se il sistema nervoso è in equilibrio e funziona in modo sano ed elastico, la corteccia prefrontale – dove risiede l’Io che osserva la situazione nel qui ed ora e che ha lo scopo di mediare gli impulsi che arrivano dall’amigdala – è in grado di inviare segnali calmanti e di inibizione all’azione, laddove avrà valutato assenza di pericolo. In questo caso torneremo ad uno stato di vigilanza rilassata.
“Pertanto”, sostiene l’autore, “se riusciamo a prendere le distanze, osservare la situazione e ridurre l’intensità della reazione emotiva, abbiamo anche la possibilità di scegliere e modificare le risposte automatiche di sopravvivenza”, evitando di cadere vittime dell’innata tendenza al falso positivo3.
Il cronicizzarsi degli stati di allerta/attacco/fuga/collasso diviene, infatti, corrosivo e dannoso al punto di rivolgersi contro l’integrità del Sé ad ogni livello: fisico, emotivo, psichico.
La Rinegoziazione è lo strumento elaborato dall’autore al fine di intervenire gradualmente sul ricordo traumatico che è alla base delle emozioni croniche e disadattive, liberandone il carico energetico e permettendo la conseguente ristrutturazione delle risposte disfunzionali.
Si tratta di un processo di rivisitazione graduale e diluita degli elementi senso-motori che compongono la traccia mnestica del trauma. Questo avviene a partire dalla presa di contatto con i ricordi procedurali legati all’attività disfunzionale del sistema nervoso autonomo (ipereccitazione/paralisi impotente) e giunge al ripristino e al completamento delle opportune risposte attive, orientate ad uno stato di equilibrio, vigile ma rilassato e posizionato nel qui ed ora.
I ricordi procedurali rinegoziati potranno essere collegati a ricordi episodici e narrativi, riveduti e corretti.
La base su cui si fonda il processo di rinegoziazione e che funge da mappa dell’esperienza interiore del paziente è il modello SIBAM (Sensation, Image, Behavior, Affect, Meaning) che include tutti gli aspetti neurofisiologici, somatici, sensoriali, comportamentali e affettivi legati al momento esperito.
In uno stato non traumatico, tutti questi elementi danno luogo ad una risposta fluida, coerente e adeguata alla situazione attuale. In presenza di trauma, al contrario, i vari aspetti del modello risultato troppo legati (iper-attaccati) o dissociati (ipo-accoppiati).
MODELLO SIBAM tratto da Somatic Experiencing
“Le sensazioni fisiche sono il fondamento stesso della coscienza umana.” (cit.)
Fin dalla nascita e per tutta la durata della crescita, il sé viene definito dal modo in cui interagisce con l’ambiente, registrato dal corpo ed inciso nella mente.
Le sensazioni fisiche che avvertiamo ci guidano attraverso le esperienze, segnalandoci via via le azioni da compiere. In presenza di trauma, le sensazioni possono trasformarsi in segnali che interferiscono con un’azione efficace e, al contrario, possono indurre a comportamenti improduttivi e dannosi (ad esempio paralisi prolungata, rabbia impotente etc…).
Intrappolate tra il sentire troppo (travolte, inondate) e il sentire poco (bloccate, intorpidite), le persone traumatizzate sono disorientate. La perdita delle sensazioni (anche piacevoli) equivale ad una perdita di senso di sé.
Considerato che, tra gli esseri umani, si stabilisce una vera e propria “risonanza somatica” – la capacità di sentire, nel proprio corpo, le sensazioni descritte dall’altro – il terapeuta che la sappia integrare consapevolmente all’esercizio di una “sottile osservazione”, offre al paziente il feedback necessario a riprendere contatto con le proprie sensazioni e i propri sentimenti.
Il modello SIBAM è stato sviluppato sulle tracce dei processi mediante i quali i pazienti elaborano le esperienze.
S-SENSAZIONI
Parliamo delle sensazioni fisiche che sorgono nel corpo, dette interocettive.
Le sensazioni colpiscono le varie categorie di recettori che inviano impulsi nervosi al talamo (nella parte superiore del tronco encefalico) e da lì trasferite alle varie regioni del cervello.
I recettori sono:
1. Cenestesici – segnalano lo stato di tensione dei muscoli.
2. Propriocettivi – forniscono informazioni circa la posizione delle nostre articolazioni.
NB: cenestesici e propriocettivi insieme ci informano di dove ci troviamo nello spazio e della velocità di qualsiasi parte del nostro corpo.
3. Vestibolari – sono cellule capellute innestate nei canali semicircolari dell’orecchio interno. Quando ci spostiamo il fluido contenuto al loro interno piega la superficie capelluta delle cellule, ognuna collegata a un recettore che invia l’impulso. Questo meccanismo ci permette di conoscere al nostra posizione rispetto alla gravità terrestre e a qualsiasi cambiamento di velocità (accelerazione/decelerazione).
4. Viscerali – Il nervo vago (rappresenta circa il 75% di tutte le fibre parasimpatiche) collega il tronco encefalico alla maggior parte degli organi interni. Oltre il 90% delle sue fibre sono afferenti (trasmettono informazioni al cervello). Le sensazioni viscerali traggono origine anche dai recettori presenti nei vasi sanguigni (ad esempio l’improvvisa dilatazione a seguito di una forte contrazione produce emicrania).
I-IMMAGINE
Parliamo delle sensazioni che provengono dall’esterno del corpo (incorporate nel cervello come memoria sensoriale). Coinvolgono gli organi di senso: vista, gusto, olfatto, udito e tatto.
B-Behavior/COMPORTAMENTI
Si tratta dell’unico canale che il terapeuta può osservare direttamente e tramite il quale può guidare il cliente ad accedere agli altri canali dell’esperienza (Sensazioni, Immagini, Affetti o Significati).
Parliamo del linguaggio del corpo:
1. I gesti – Si tratta di movimenti volontari. Generalmente si compiono con le mani e con le braccia nell’atto di comunicare. Costituiscono il livello più superficiale del comportamento eppure anch’essi sono in grado di veicolare e comunicare sentimenti. (Ad esempio che differenza c’è tra il torcersi le mani e congiungerle a piramide con i polpastrelli a contatto?).
2. Mimica emotiva – Parliamo delle espressioni facciali (per lo più involontarie).
Si tratta di brevissimi cambiamenti di tensione muscolare che rispondono a schemi specifici di riproduzione delle sfumature emotive.
3. La postura – Si trova ad un grado di consapevolezza meno cosciente.
Utilizzando una definizione di Sir. Charles Sherrington: “Gran parte della reazione riflessa dalla muscolatura scheletrica non è mobile, ma posturale ed ha come risultato non il movimento ma la stabile conservazione di un atteggiamento”.
La postura viene considerata come una vera e propria “orchestrazione corporea” in grado di offrire agli occhi del terapeuta uno sguardo sullo stato nervoso e psichico del cliente.
4. I segnali autonomi (cardiovascolare e respiratorio) – Frequenza del battito cardiaco, monitorabile dalle pulsazioni della carotide visibile sul collo; fenomeni di vasocostrizione/vasodilatazione, deducibili dal colorito e dalla temperatura della pelle; indicatori respiratori (respirazione rapida, superficiale e alta oppure debole, impercettibile, piuttosto che piena e libera, completa…); stato della dilatazione delle pupille.
5. Il comportamento viscerale – motilità del tratto gastrointestinale osservabile attraverso i suoni che emette, i borborigmi.
6. I comportamenti archetipici – movimenti di mani, dita, braccia omnicomprensivi ed universalmente riconosciuti. Fanno capo all’inconscio collettivo.
A-AFFETTO
1. Le emozioni categoriche – Paura, Rabbia, Tristezza, Gioia, Disgusto.
2. Le sensazioni sentite o Felt Sense – contorni del sentimento, sensazioni immediate di attrazione/repulsione, buono/cattivo.
M-Meaning-SIGNIFICATO
Si tratta di etichette che applichiamo alla totalità dell’esperienza. Rappresentano dei marcatori descrittivi che utilizziamo per accedere ad una chiave interpretativa dell’intera gamma dell’esperienza interiore così che sia comunicabile a sé e agli altri.
Un individuo traumatizzato ha convinzioni fisse che considera come verità inequivocabili, anguste e restrittive. Si tratta di credenze spesso associate a paure primarie e sono per questo, negative, limitanti, pervasive e rigide.
Si diceva, dunque, che i pazienti traumatizzati vivono prigionieri di una cronica contrazione (stato di fissità) di cui sembra impossibile liberarsi e che li condanna a sentimenti di impotenza e disperazione. Si tratta di sensazioni così orribili che sarebbero disposti a qualsiasi cosa pur di non avvertirle nel proprio corpo. Un corpo diventato nemico in senso assoluto. In questo sforzo di evitamento, si consuma il perdurare e il congelamento del trauma.
Compito del terapeuta è di guidarli con competenza, consapevolezza e gentilezza nella presa di contatto con quelle sensazioni perché sperimentino di potervi sopravvivere e, via via, completino il processo di rinegoziazione.
La pratica della pendulazione viene utilizzata per risolvere memorie traumatiche implicite ed indica il processo fluido e continuo di contrazione ed espansione dell’organismo.
Si tratta di indurre, nel cliente, un contatto momentaneo con le sensazioni angosciose e contratte e di sostenerlo mentre apprende la possibilità di sopravvivervi e si lascia andare ad un primo livello di attivazione (espansione) per poi tornare ad uno stato di sicurezza/confort/chiusura. La contrazione sarà meno bloccata, meno minacciosa e il paziente si troverà ad essere più disposto (e curioso) ad aprirsi ad una nuova esperienza di espansione. Ad ogni nuovo ciclo di contrazione/espansione il paziente sperimenta una sensazione interna di flusso e un senso crescente di rilassamento.
Altro punto fondamentale della pratica consiste nella possibilità di contattare la riserva interna di forza che l’autore chiama sana aggressività: “la capacità di affermare i propri diritti, mobilitando la forza per ottenere ciò di cui si ha bisogno”.
Questo apre le porte all’immaginazione di rinnovate e attive strategie (anche motorie) di rinegoziazione del trauma.
FASI FONDAMENTALI DI RINEGOZIAZIONE DEL TRAUMA
- Creare nel qui ed ora un’esperienza di calma, potenza e radicamento.
- Oscillare gradualmente avanti e indietro fra le sensazioni positive, ben radicate, e quelle più difficili.
- Osservare l’emergere del ricordo procedurale traumatico nella sua forma troncata, soffocata. Il terapeuta vigila che il paziente non si trovi in uno stato di iper/ipo-attivazione, in qual caso si torna ad 1 e 2.
- Una volta scattata l’istantanea della risposta mancata, approfondire l’esplorazione sensibile e sviluppare l’azione fino in fondo, portandola al completamento voluto e dotato di senso.
- Naturale reset del sistema regolatore di base e ripristino dell’equilibrio, della stabilità e della vigilanza rilassata.
- I ricordi procedurali vengono ricollegati alle funzioni emotiva, episodica e narrativa della memoria. Ciò permette al ricordo di occupare il posto che gli appartiene nel passato.
I ricordi traumatici procedurali non vengono più riattivati in maniera incompleta, disadattiva, ma sono trasformati in una sana capacità di iniziativa e di affermazione. Emergono ricordi emotivi ed episodici nuovi, cioè aggiornati”. (Cit.).
Di tutte le fasi del processo riabilitativo, l’autore offre la trattazione completa di alcuni casi esemplificativi, corredati di fotografie.
I nuovi indirizzi della ricerca scientifica in materia di memoria hanno dimostrato come non solo il passato persista nel presente ma di come il presente abbia la possibilità di cambiare (quello che era) il passato. In questa ottica, il ricordo invece di essere evocato e cancellato, viene gradualmente stimolato, rivisitato, rielaborato, aggiornato ed utilizzato in un processo di apprendimento.
L’esperienza presente (potenziata) altera profondamente il ricordo passato.
L’autore ci tiene a sottolineare che questo processo, che parte dalla consapevolezza che la memoria non sia qualcosa di immutabile ma di ricostituita ogni qual volta vi si acceda, non rischia di compromettere la verità del fatto che un certo evento traumatico sia realmente accaduto, quanto, piuttosto, pone l’accento sulla possibilità di ammorbidire il suo ricordo, rimodellarlo ed integrarlo nella trama della propria identità presente.
1 Peter A. Levine (2014), Somatic Experiencing, Casa Editrice Astrolabio – Ubaldini Editore, Roma
2 Peter A. Levine (2018), Trauma e Memoria, Casa Editrice Astrolabio – Ubaldini Editore, Roma
3 In natura è meno pericoloso credere vero il pericolo avvertito e lasciare che il corpo si mobiliti, accedendo agli schemi d’azione attacco/fuga, per poi valutare la reale entità del presunto pericolo e lasciare che si torni ad uno stato di rilassatezza che il contrario.
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